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L'inCanto dei sensi

scopri la tua voce sensuale

Siamo portati a considerare la voce come uno strumento che permette al pensiero di essere udibile. In realtà questa funzione è una parte solo parziale del suono: non riusciremo a dispiegare tutte le potenzialità di godimento, bellezza, guarigione, potere della voce se la teniamo “prigioniera” della sola parte razionale del nostro essere.
Tutto cambia se guardiamo al canto come fenomeno fisico, che appartiene prima di tutto al corpo e che nel corpo si appoggia, si ancora, trova spazi di risonanza. In questa ricerca di benessere profondo, attraverso un canto libero e “tridimensionale”, i sensi sono portali d’accesso irrinunciabili.
Scoprirai che la voce può accarezzare e può essere assaporata, che annusare un profumo può aprire canali inaspettati al tuo canto, che la vista può aiutarti a “metterlo a fuoco” e soprattutto che probabilmente hai bisogno di ascoltarti in un altro modo per poter esprimere ciò che davvero sei.

Annusare

Partiamo dall’olfatto, che è un senso primordiale, animale, istintivo. Nella filosofia dei chakra è collegato al primo: ci dona radicamento e presenza. È un ottimo canale, quindi, per avviare una sessione di canto su questi presupposti. La respirazione olfattiva è una pratica semplicissima, accessibile da chiunque in qualunque momento. Il suo primo effetto è quello di riequilibrare il sistema nervoso e di metterti in una condizione di “calma energica”, che è la condizione ideale perché la voce possa esprimersi al meglio (scopri qui come praticarla).  Ti aiuta inoltre ad abitare delle “camere” interne al nostro cranio affinché possano diventare vibranti. Annusando con piacere riusciamo a percepire il “viaggio” della voce attraverso i risuonatori, conferendo volumi e spazi al nostro apparato fonatorio.

Gustare

Il gusto è il senso godurioso che risveglia il bambino interiore. Collegato al secondo chakra, è rilevante ai fini della ricerca vocale perché il nervo vago, responsabile delle percezioni gustative della lingua, possiede anche una parte motoria dedicata ai muscoli della masticazione e deglutizione, ma anche della fonazione. I diversi gusti corrispondono a diverse postazioni delle papille sulla lingua. È divertente e sorprendente scoprire come i sapori diano una forma differente alla parola (e al canto): il suono cambia moltissimo se viene “scolpito” all’interno della bocca nell’attitudine di gustare un sapore dolce, acido, salato (gli esperti traducano in “umami”), oppure amaro. Il dolce è il sapore del latte materno, quindi un gusto primario, di cui siamo golosi, soprattutto da bambini. Le postazioni per percepirlo sulla lingua sono le più esposte e diffuse: conferiscono alla voce una qualità di accoglienza, morbidezza, dolcezza appunto. Il salato (umami) viene percepito sulla lingua nelle zone intermedie. Come ci ricorda l’espressione “il sale della vita”, ci aiuta a dare definizione ai suoni centrali, al corpo principale della nostra voce. L’acido aumenta la salivazione, disseta e corrisponde alla parte più acuta del suono, alla punta: risveglia le risonanze brillanti e aiuta a portare precisione nella voce. All’amaro siamo molto sensibili, perché è il sapore che hanno le piante velenose. È quindi il gusto più difficile da apprezzare (in effetti bambini lo rifiutano). Sulla lingua le postazioni dell’amaro sono collocate in fondo e risvegliano le risonanze più gravi, scure, profonde. Piccante e mentolato sono vicini alla sensazione di caldo e freddo, più collegati ad un elemento tattile. Le postazioni sono situate nella zona centrale della lingua, che percepiscono anche la consistenza degli alimenti. Questi sapori aiutano a “svegliare” un suono poco tonico.

Rimirare

La vista nella nostra cultura è il senso dominante. Dato che tendiamo a focalizzarla in modo eccessivo ha prima di tutto bisogno di riposare, uscendo dai ristretti confini di uno schermo per abbracciare un orizzonte naturale. Il primo passo per un buon canto, per quanto attiene il senso della vista e praticare un rilassamento dei bulbi oculari nelle orbite: la pratica di posare le palme delle mani sugli occhi, ad esempio, se non hai a disposizione un bosco reale, un vero lago, le onde del mare in cui immergerti in contemplazione, può essere d’aiuto. In secondo luogo c’è bisogno di portare la direzione dello sguardo verso l’interno, verso il nostro stesso corpo, ponendoci in ascolto di esso. Solo dopo che il suono si è pienamente “incarnato”, ovvero ben appoggiato, possiamo utilizzare la vista per dare precisione e direzione al suono. I cantanti d’opera tendono a “guardare il loggione”, cioè la parte più lontana dal palcoscenico, per emettere, proprio mirando un punto come se lanciassero una freccia, l’acuto finale.

Toccare

Il tatto è un senso raffinato, che ci guida a riconoscere i nostri confini e a “regolare” la relazione tra noi e il mondo, che è sana nella misura in cui questi confini sono riconosciuti e rispettati. Il suo organo è la pelle, che nel feto si forma a partire dall’ectoderma, lo stesso foglietto embrionale dal quale deriva il sistema nervoso. La pelle si prolunga inoltre nel canale uditivo, fino ai timpani. E si usa dire che un certo modo di parlare o di cantare ci “tocchino”. Ma come si ottiene questa qualità della voce così preziosa, in grado di raggiungere il cuore di chi ascolta? Il fatto che chi produce il suono lo faccia abitando con piacere “dentro” la sua pelle conferisce alla voce uno spessore che la rende commovente. Un esercizio possibile, per portare sensibilità nel suono, è cantare accarezzandoci la pelle, in contatto con il nostro meraviglioso confine.

Ascoltar(ti)

L’udito rappresenta la maturità, la capacità di fermarsi ed accogliere l’altro da sé. Anche l’udito, così come la vista, ha spesso bisogno prima di tutto di rilassarsi. Il rumore bianco è di grandissimo aiuto: lo producono i suoni naturali come il vento tra le fronde, il gorgogliare di una fonte, il movimento delle onde, o anche lo sfregare delle dita nei capelli o dei palmi delle mani tra loro. Per quanto riguarda il canto, è interessante notare in che modo ascoltiamo la nostra stessa voce. L’ascolto che ci dedichiamo può infatti essere interno, esterno o integrato, bidimensionale. La via esterna è quella più ovvia e praticata: il suono giunge alla parte esterna dell’orecchio dalla bocca. Quando ascoltiamo in questa modalità la nostra voce, ci relazioniamo ad essa in una modalità di monitoraggio tecnico. Così le tube di Eustachio (la parte profonda dell’orecchio) tendono a chiudersi, a impigrirsi. Il controllo esterno, che giudica le qualità “misurabili” del suono, tende anche a scollegarci da ciò che sentiamo intimamente. C’è un’altra modalità, misconosciuta e più interessante per chi vuole cantare innanzitutto nel piacere, che ci porta a contattare il suono per via interna, dalla laringe all’orecchio medio, attraverso la tuba di Eustachio. Questa modalità di ascolto profondo di noi è accogliente, non giudicante: il feed back esterno è secondario. Perché questa parte dell’ascolto si apra è importante lavorare sul corpo e lavorare nella direzione di integrare via via quelle frequenze alle quali, per qualche ragione, il nostro orecchio si chiude.

Gli altri sensi

Ma non è finita qui: si parla di un sesto senso, che è l’intuito. Sembrava fantascienza, invece esiste davvero in tutti noi, anche se siamo letteralmente addestrati a sottovalutarlo fin da piccoli. Ha il compito di operare una sintesi immediata tra i segnali provenienti dai primi cinque ed è capace di valutare in un battito di ciglia il contesto in cui ci troviamo. Opera a livello inconscio e fornisce risposte non mediate dal cervello razionale.
Poi c’è un settimo senso, che percepisce il nostro corpo in equilibrio, in movimento, in relazione a ciò che ci accade intorno.
Ed ancora l’ottavo senso: l’enterocezione. Ci permette di contattare i nostri stati interni, a livello fisico ed emotivo (è il fondamento della comunicazione non violenta: riconosco come sto, cosa si muove in me).

Questi “nuovi” sensi sono fondamentali per il cantante.
Un buon canto infatti si esprime come un’attività di coordinamento fisico. La mediazione della parte razionale del cervello (che verifica se stiamo rispettando, ad esempio determinati requisiti tecnici) rappresenta un’inciampo più che un vantaggio. Evolutasi come fenomeno di segnalazione territoriale e come elemento di fitness sessuale, la voce solo recentissimamente, nei milioni di anni che ci hanno condotto ad essere “sapiens”, si è adattata ad articolare in parole il pensiero. Se pensiamo al nostro suono vocale come ad un’iceberg, la pretesa di controllarlo tecnicamente ci nasconderà fatalmente tutto ciò che è sotto la superficie.

Ecco perché celebri cantanti lirici del passato, come Maria Callas, che diceva ai suoi allievi che

cantare è “fare l’amore con il proprio suono”

o Giacomo Lauri Volpi (che affermava che il segreto del canto risiedesse “nella gioia di cantare”), non parlavano di tecnica quando cercavano di rispondere a chi chiedeva loro cosa li rendesse grandi.

Quindi, se vuoi allargare le possibilità della tua voce, prima di tutto impara a godertela. Ti porterà, sorprendentemente, ad essere più sensuale (i tuoi sensi saranno aperti e ricettivi), più sensibile (in giusta relazione tra interno ed esterno) ed anche più sensata (la voce ti guida a ricucire la relazione tra il tuo corpo e la tua mente).

 

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