La settimana scorsa è stata festa per me. D’accordo, questo giro non l’abbiamo portata a casa l’abolizione della tampon tax, ma intanto il Parlamento italiano ha discusso di mestruazioni, se ne è parlato alla radio e alla tv, i social traboccavano di post e meme su un argomento normalmente considerato infrequentabile. So di essere affetta dalla sindrome del mezzopienismo, ma a me questa sensazione di acque smosse dà una certa euforia. Un’euforia che mi carica e mi pungola a domandarmi cosa fare ora.
Prima di tutto chiarezza. In Italia non esiste la tassa sul lusso. Esiste un’aliquota ordinaria, cui attualmente sono soggetti sia gli assorbenti, sia i rasoi e le lamette da barba. Non ha neanche senso (anche se sui social fa figo), paragonare gli assorbenti alle ostriche o ai tartufi, che godono di un’Iva ridotta in quanto beni deperibili. Problemi complessi richiedono un minimo di ragionamento.
La camera ha bocciato la riduzione della tampon tax perché non poteva permettersela. Se l’Iva sugli assorbenti fosse stata portata al 10%, le casse dello Stato italiano avrebbero incamerato 212 milioni di euro in meno. Al 4% (come per i beni di prima necessità) il gettito sarebbe precipitato di 300 milioni di euro.
Il nostro sangue mensile vale un giro d’affari che a livello globale si attesta attorno ai 26 miliardi di euro.
Questo mi sembra un dato interessante. Si chiama potere contrattuale. Come mobilitarci, quindi, per aprire una trattativa? Siamo ancora in tempo, infatti, per il passaggio al Senato.
Un bloody strike, uno sciopero mestruale nazionale? non compriamo assorbenti e non andiamo a lavorare, così possiamo praticare il free bleeding tra le mura domestiche?
Le donne in età fertile producono quasi il 40% del Pil.
Aggiungiamo questo al giro di denaro degli assorbenti: le nostre richieste sul tavolo potrebbero pesare parecchio.
Ciò detto, per quanto non ci faccia piacere ammetterlo, gli assorbenti usa e getta inquinano moltissimo. Per comprarseli ciascuna di noi, una volta varcata la soglia della menopausa, avrà speso circa 2500 euro, ma avrà anche prodotto una tonnellata e mezza di rifiuti1. Quindi se nel secolo scorso la liberazione dalle schiavitù dalle “pezze” lavabili rappresentò un’innegabile conquista, oggi dobbiamo al pianeta un’alternativa.
Peccato che l’esternazione sulla coppetta mestruale del deputato M5S D’Uva non abbia aiutato. Non è colpa sua se non è dotato di un orifizio dove infilarsela, ma lo è non aver compreso quanto sia inelegante la sua pretesa di insegnare alle donne come trattare il proprio sangue. Ora, da quanto vedo sui social, sono aumentate le donne che odiano la coppetta e che da oggi possono addurre come motivazione che faccia parte di un bieco imbroglio maschilista.
Riprendendo il filo del discorso: allo stato attuale il nostro governo non ha preso sul serio la faccenda della tampon tax ed è ora di mobilitarsi perché lo faccia.
Mestruare non è una scelta personale, mentre lo è come decidiamo di gestire il nostro sangue. Questa scelta ha un impatto importante sul nostro benessere, sulla nostra efficacia sociale, sulla nostra salute, sull’ambiente. Si tratta di una responsabilità personale, ma anche di una questione rilevante per la comunità. Una questione che un sistema politico che possa dirsi civile non può liquidare con leggerezza. Gli stereotipi, i tabù, gli ostacoli alla reale costruzione di pari opportunità, quelli sì che sono costosi. Una maggiore partecipazione delle donne alla vita pubblica, tale da allineare l’Italia alla media europea, impatterebbe positivamente sul Pil del 18% secondo uno studio pubblicato dal Sole24Ore nel 20172.
Ecco cosa chiederei quindi:
- L’Iva su coppette e assorbenti lavabili deve essere quella dei beni di prima necessità. Si tratta di una percentuale attualmente così residuale da non impattare quasi sul gettito fiscale, ma darebbe invece un segnale importante.
- L’acquisto di coppette e assorbenti lavabili dovrebbe essere considerata una spesa detraibile dalla dichiarazione dei redditi.
- In situazioni di povertà coppette e assorbenti lavabili dovrebbe essere gratuiti.
- La coppetta non va bene in presenza di patologie ostetriche: in questi casi l’assorbente usa e getta dovrebbe essere passato dal servizio sanitario nazionale, a titolo gratuito o come compartecipazione alla spesa, a seconda del reddito.
- Stesso discorso per gli assorbenti usa e getta per il post partum, per i quali non esistono alternative valide.
- Chi fabbrica assorbenti dovrebbe essere costretto dalla normativa ad utilizzare materiali più sostenibili sia per il prodotto che per il packaging. Dovrebbe essere tenuto ad indicare in etichetta le componenti (così come accade per i cosmetici), dato che la vagina, che ha mucose assai più sensibili della cute, nel corso della vita fertile passa a contatto con tamponi e assorbenti circa 57600 ore. E purtroppo vi sono state trovate sostanze che interferiscono con il sistema endocrino e perfino cancerogene. In questo campo, come in tutti gli altri, i comportamenti virtuosi andrebbero premiati, mentre andrebbero sanzionati, invece, quelli che impattano negativamente sull’ambiente e sulla salute.
- Nessuno sconto fiscale per i salva slip, che non hanno alcuna utilità reale, ma anzi favoriscono il disequilibrio della flora batterica e la dispercezione delle naturali funzionalità della vagina. La quale si esprime con la secrezione di fluidi che in caso di salute non sono né sporchi né maleodoranti, né in quantità tale da dover essere arginati.
Tornando al discorso coppetta: utilizzarla implica una certa pratica ed una certa confidenza con il proprio corpo. Che le donne la rifiutino perché provano repulsione per il proprio sangue mestruale o non sono in grado di entrare in contatto con la propria vagina è un grave problema di ordine culturale che deve essere affrontato: abbiamo i bonus cultura, perché non un bonus aggiuntivo per le ragazze “impara a volerti bene”? Inoltre l’utilizzo della coppetta richiama un’altra questione di civiltà: quella delle toilette nei luoghi pubblici. I bagni per i disabili sono già giustamente previsti ovunque. Basterebbe “deghettizzarli”, cambiarci il logo sopra e renderli toilette davvero senza barriere, semplicemente accessibili, accoglienti per tutto quanto non contemplato fino all’altro giorno. Quindi prive di barriere architettoniche, certo, ma anche culturali e quindi:
- dotate di un lavandino privato per svuotare la coppetta (facile: c’è già);
- di un fasciatoio (anche per papà così evoluti da non temere per la loro virilità se cambiano il bebè);
- utilizzabili senza imbarazzi da chi non si riconosce in uno dei due generi canonici.
Quella della tampon tax, in definitiva, non è una battaglia banale.
La mia intenzione è di redigere un documento. Vorrei offrire una riflessione il più possibile accurata a persone impegnate con sincerità nella politica per il bene comune. Esistono, giuro.
Chi ha voglia di darmi una mano ad arricchire il ragionamento è benvenuta\o\*!