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Il mio corpo è un baratro

Cosa succede se ciò che ti definisce come femmina è la parola più brutta del mondo?

Immagine di Serge Kutuzov su Unsplash

Il corrispettivo anglofono di fica probabilmente è la parola più brutta del vocabolario inglese. Cunt, che le femministe stanno provocatoriamente rispolverando, è un insulto davvero maleducato, osceno, sgradevole.

Di per sé, pare che la radice di questo termine non sia affatto negativa, anzi: verrebbe dal sanscrito e, riferito alla dea della natura Hindu, originariamente ha il sapore di una sorta di omaggio al corpo della donna, origine divina della vita (Catherine Blackledge, Storia di V).

Nel corso della storia il senso si è completamente capovolto, come in molte faccende che ci riguardano, trasformandosi in uno dei segni più chiari di come il linguaggio attuale porti con sé le tracce di una lunga e ancora insuperata misoginia.

Un’altra parola gergale definisce l’organo sessuale femminile “orgasm chasm”, cioè “baratro dell’orgasmo”: un abisso in cui perdersi per raggiungere l’apice. Il che è interessante (ci si ritrova nel momento in cui ci si abbandona!), ma si richiama a tutta una serie di termini dispregiativi, in tutte le lingue, che parlano di “buco”, “antro oscuro”, “fogna”, luoghi sporchi, pieni di ombre e molto pericolosi.

Ma c’è senz’altro di peggio: tra i nomignoli dialettali in Italia (ne sono stati censiti 595 per la precisione) ci sono un sacco di termini dispregiativi come sorca (topo di fogna) o patacca (monetina di scarso valore).

Restando in una zona linguisticamente più aulica, ecco “vagina”: parola latina che significa fodero della daga. Il pene, la spada, è quindi l’oggetto prezioso, mentre la vagina è il suo fodero: non vedi come ti restituisce subito la sensazione di non essere la protagonista della faccenda? sei un accessorio, comodo ma non così indispensabile, in definitiva complementare, mettitela via!…

La questione delle parole per dirlo non è così oziosa: il filosofo John Austin fa il paragone del giudice che emette una sentenza e di due innamorati che dicono “sì” sull’altare per farci capire come delle semplici parole possano concretamente modificare la realtà. Se la cultura in cui sei immersa definisce la tua femminilità usando una parola che significa utensile accessorio o moneta di scarso valore, ti tratterà di conseguenza e tu lo riterrai normale.

E allora? Non so, anche i più carini dei 595 (Balusa, Bernarda, Ciorciola, Fagiana, Fica, Gigia, Gnocca, Iolanda, Micia, Mona, Patonza…) non ci rendono giustizia, così come l’evergreen “pop” pussy, e i vari micetta, farfallina, patatina: sono “diminutivi”, non solo grammaticalmente, ma in quanto sminuiscono il potere potenziale che questo centro energetico del corpo femminile è in grado di sprigionare.

La mia proposta è di attribuire alla propria fica un nome proprio.

Il mio è Lady V.

Qual’è il tuo?

Se ti va, condividi il nome della tua fedele compagna di avventure nei commenti qui sotto.

Qui trovi un bellissimo monologo di Paola Cortellesi sulla violenza nascosta nelle parole: se non lo conosci, vale davvero la pena di guardarlo, quando hai sei minuti liberi.

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